Sono andata ad incontrare nel suo ufficio di Cerignola in via Pavoncelli l’avvocato Filomena Catalano, con il progetto di tracciare un punto di vista sulla mediazione dalla parte, non facile, di un avvocato.
Le pareti bianche, i soffitti alti che danno una sensazione di antica tradizione, si adattano agli ultimi giorni del 2011 per fare bilanci e previsioni.
I tempi sono difficili ed incerti per la politica e per l’economia ed il sistema giustizia già da un po’ ne sta pagando le conseguenze.
Concordiamo sulla necessità e l’inevitabilità dei cambiamenti che sono già in qualche modo in atto, solo in attesa di essere accettati. Le difficoltà sono notevoli per la nostra società, irrigidita nello schema del progresso ad ogni costo. Procediamo sospinti dal desiderio di analisi più che dalla speranza di risoluzione di questo periodo storico di passaggio…….
D: Con la legge 4.3.2010 già da qualche mese lo strumento della mediazione sta tentando di modificare il percorso giurisdizionale in alcune materie, quali diritti reali, successioni, risarcimento danni da responsabilità medica, etc…
Inutile dire delle ostilità piuttosto ovvie che la Mediazione sta incontrando, come avviene per ogni cambiamento imposto alla società…
R: Le ostilità le trovo relativamente ovvie per due motivi. Sia perché non è stata recepita appieno l’intenzione del legislatore; sia perché, erroneamente, alcuni avvocati si scagliano contro l’obbligatorietà che, invece, nei cambiamenti imposti è appunto obbligatoria.
D: Ha già avuto qualche esperienza per le materie obbligatorie?
R: Non solo per le obbligatorie; ma ho proposto a qualche cliente delle volontarie che, dopo le dovute spiegazioni, sono state ben accolte, soprattutto in proposito alla possibilità di risoluzione veloce del problema. Certo, non sempre è possibile la risoluzione, non tanto per la difficoltà che la controversia può presentare, quanto per la diffidenza dei colleghi che si sentono chiamati alla mediazione come fossero obbligati ad accettare un cambiamento di opinione verso questo istituto e a mettere in discussione il ruolo dell’avvocatura d’oggi, cosa difficile ma che andrebbe, a dire il vero, fatto con urgenza.
D: Auspica dei cambiamenti nella funzione dell’avvocato?
R: Io sono figlia di avvocato ed ho quasi trent’anni di esperienza professionale. Dal modo in cui mio padre intendeva l’avvocatura ad oggi le cose sono molto cambiate.
L’avvocato un tempo, per essere più precisi, negli anni immediatamente successivi alla guerra, si sentiva e veniva visto e vissuto come” mediatore” come il buon padre di famiglia. Era guidato anzitutto dal buon senso e si piegava alla logica del processo solo dopo aver svolto lunghi, numerosi tentativi di riappacificazione e risoluzione, diversa dal processo ordinario, del conflitto.
La mediazione, per quanto sia vissuta come una novità indigesta, è solo un ritorno ad una logica e ad una deontologia che sono radicate nella tradizione della solidarietà tra gli esseri umani, come era -questo sì ovvio- dopo il conflitto mondiale. Il vento della pace era un grande scultore e modellava qualunque aspetto della società di quel periodo. Oggi è tutto molto diverso.
D: Pensa che gli avvocati oggi siano incapaci di perseguire la pace ancor prima che la guerra?
R: Più che incapaci, siamo impossibilitati. Questa è una società che si fonda sulla prevaricazione del prossimo, una società piena di incertezze e insicurezze, che hanno spinto ad un comportamento radicato negli anni. Si è ingigantita la diffidenza tra i colleghi avvocati, come del resto tra gli uomini tutti. La mediazione per ora è solo un pallido tentativo di riportarci ad un certo equilibrio, ma ce n’è di strada da fare e molto dipende proprio da noi avvocati.
D: Le polemiche a proposito dei mediatori non avvocati, più che rispetto all’obbligatorietà, impediscono la distensione del “conflitto” sulla mediazione.
R: Credo ci siano persone che per le loro caratteristiche di tolleranza e comprensione trasmettono quel senso di tranquillità che automaticamente smussa i conflitti e le aggressività e conduce al dialogo. Quando tali figure si trovano ad essere terzi ascoltatori dei motivi delle controversie è possibile che riescano a far emergere interessi non evidenti e strade di risoluzione. Che siano avvocati o meno credo sia di scarsa rilevanza, perché con l’esercizio di questo istituto non solo si creerà una selezione qualitativa, ma verranno certamente istituite scuole appropriate per coltivare una materia qual è quella della mediazione in chi è già predisposto. Il mediatore dovrebbe essere proprio l’opposto di un avvocato. Non deve identificarsi nelle parti. Deve sempre mantenere distacco ed essere imparziale tanto quanto, invece, un avvocato deve far sua la causa e la motivazione del suo cliente per poterlo difendere. Entrambe le figure sono necessarie eppure profondamente diverse.
D: Ha pensato in questi mesi, visto il suo favore alla mediazione, di diventare lei stessa mediatore?
R: Assolutamente no. Sono un’ impulsiva e fumantina ed ogni causa di un mio cliente per me diventa una storia mia. Quando, qualche rarissima volta, così non è stato, il rapporto di fiducia col cliente ne ha risentito fino al fallimento della causa. E comunque il cliente stesso percepisce immediatamente la non totalità. E’ come un paziente che non ha fiducia nel proprio medico.
D: Non crede che l’avvocato stesso deve mediare di fronte a certi clienti che spesso chiedono la luna?
R: Non deve mediare, ma essere capace di discernere tra il desiderio di vendetta ed il senso di giustizia ed avere la giusta lucidità per guidarli nel percorso che si accingono ad intraprendere, perché all’inizio, sempre, anche solo un pizzico, l’intenzione a vendicarsi c’è. Perché il cliente, di solito, è uno ferito anche solo nell’orgoglio o nella dignità. Non mi stupisco di fronte al rancore, al dolore, al desiderio di farla pagare al nemico. All’inizio è sempre così.
D: La mediazione potrebbe apportare cambiamenti positivi al sistema Giustizia?
R: Sono ottimista, ma ritengo che i tempi siano abbastanza lunghi. La mia esperienza di Vice Pretore è stata una svolta nel mio lavoro così come oggi lo è la mediazione. Dover prendere delle decisioni guardando in faccia i confliggenti mi ha costretta a prendere atto gradualmente degli errori che si possono compiere quando la posizione di una delle parti ti deriva solo dalla lettura delle carte o, peggio, filtrata dalla controparte. Ascoltare, vedere le motivazioni di un altro individuo ti porta a cambiare automaticamente l’opinione d’insieme. Ti porta a relativizzare il problema in più aspetti. La mediazione, per altri versi, serve a questo, presuppone una visione d’insieme e, al tempo stesso distaccata, del conflitto che prende concretezza nelle varie motivazioni attraverso il dialogo, importante tappa, che naturalmente può condurre alla risoluzione. Credo che si possa arrivare a questo quando le cose cambieranno e per noi avvocati non ci sarà più bisogno di corsi di aggiornamento in deontologia perché questa tornerà ad essere tutt’uno con la professione stessa. E credo anche che ciò faciliterà in molti aspetti il nostro lavoro. Lo renderà più agile, più veloce. Avremo la possibilità di accettare più casi e quindi di crescere professionalmente. La logica economica è una conseguenza.
Giuseppina Quarticelli.